(La Gazzetta del Mezzogiorno del 14/9/2014)
Venti d’autunno, e gli scolli degli abiti delle donne si
chiudono sotto sciarpe leggere e freschi baveri. Restii all’impresa di
nascondere e costringere il collo si scoprono invece sorprendentemente gli uomini, che cercano in ogni modo di
sottrarsi al destino dell’uniforme quotidiana che li vorrebbe incravattati e
accollati in ogni stagione. E la moda li aiuta, soprattutto quella moda che
vive non tanto come ultima novità, quanto come storia già vissuta e citazione
anche inconsapevole di immagini già viste e fatte rivivere nell’attualità.
E’ certamente vero che dire “décolleté” significa riferirsi per
antonomasia a quello femminile, sia se lo si intenda come parte del corpo, sia
se si usi questo termine per definire il modo in cui un indumento termina intorno
al collo. Eppure il décolleté rappresenta anche per gli uomini un elemento
complesso e fortemente valorizzato, sul piano simbolico come su quello pratico.
Basti pensare proprio ai modi diversi in cui si manifesta la forma più comune e
classica di scollo maschile: il nodo della cravatta. Si va dal “nodone” che
quasi strangola il pomo d’Adamo intorno alla camicia che più abbottonata non si
può, a forme più “rilassate” di cravatte sottili – ritornate oggi nuovamente in
auge – col nodo piccolo, fino alla possibilità che questo nodo si allarghi
mentre il primo bottone del colletto della camicia sguscia via dall’asola
lasciando libera la base del collo.
Ed è proprio lì, alla
base del collo, che hanno inizio le varietà dei décolleté maschili, che, sebbene
gli uomini tendano a sottovalutarlo, non hanno nulla da invidiare a quelli
femminili in quanto a componenti erotiche, estetiche e simboliche. Ecco allora
che la camicia sbottonata già comincia a declinare queste componenti possibili,
comprese certo quelle più discutibili se non raccapriccianti, se si pensa, per
chi se li ricorda, a certi décolleté maschili anni ’70: camicia stretta sui
fianchi e aperta sotto la gola, catena d’oro con patacca o croce massiccia incuneata
tra i peli del petto. Divisa e simbolo di boss e magnaccia più o meno
dichiarati, ma anche – ahimé! – indumento preferito, e non solo a quel tempo,
da personaggi illustri del mondo dello spettacolo. Ne fu emblema Johnny
Hallyday, rock star francese sin dai primi anni ‘60, che dello scollo con catena
fece la sua “divisa”.
Vittorio Gasmann in Il
sorpasso (1963) introdusse la camicia bianca appena sbottonata sul petto,
tipica della moda di quegli anni, che caratterizzava però nel film
efficacemente il suo personaggio un po’ cialtrone, un po’ eterno bambino,
emblematico della società italiana del tempo. Interessante notare come possa,
quella camicia aperta e sbottonata, essere anche considerata l’antesignana dell’uso
casual di candide camicie appena
sbottonate, dette qualche anno fa “alla Obama”, e più di recente in Italia “alla
Renzi”, che nella comunicazione politica intendono dare un senso di vicinanza,
familiarità, parola diretta, a contrasto con l’impomatata e ingessata immagine
dell’uomo politico più tradizionale e conservatore.
Slacciarsi la cravatta e sbottonarsi in profondità la
camicia ha però per l’uomo un’incognita: andando giù lungo il petto al di sotto
della barba, incolta o rasata che sia, si apre una foresta di peli o una
distesa setosa di pelle? Fino alla fine dello scorso secolo il petto villoso maschile
non è stato un problema: gli uomini sembravano tutto sommato indifferenti ad
esibire i loro peli, anche quelli talmente folti da non avere soluzione di
continuità con la barba. Invece, da una ventina d’anni molti uomini sono stati
colpiti dall’ossessione del décolleté glabro, e hanno preso a depilarsi non
necessariamente per ragioni pratiche, come capita ad alcuni sportivi, ma per
ragioni estetiche in tutto simili a quelle per cui le donne si depilano le
gambe, le sopracciglia o le ascelle. Una pelle glabra, liscia, lucida, sembra
infatti assumere valorizzazioni positive, legate a concetti quali giovinezza,
tensione muscolare, seduzione, femminilità. La cultura visuale rappresentata
dal cinema e dalle sue star conosce immagini esemplari in questo senso, sin
dalle origini. Rodolfo Valentino non lesinava scollature nei suoi film, come Lo sceicco (1921) nel quale indossa il
costume “arabo” aperto sul petto setoso, o Il
giovane raja (1922) dove compare con il busto attraversato da abiti-gioiello
di ispirazione orientalista creati dalla sua seconda moglie Natacha Rambova.
Un habitué del décolleté, e spesso del petto nudo totale,
nel cinema è stato Paul Newman: è con indosso solo un asciugamano stretto sui
fianchi che fugge da una camera d’albergo nel film Intrigo a Stoccolma (1963); è con la camicia bianca aperta fino
alla vita che si fa visitare da una dottoressa in Il sipario strappato (1966), uno dei pochi film di Hitchcock in cui
è il protagonista maschile e non quello femminile ad essere costruito come
oggetto sessuale. La coppia Paul Newman – Robert Redford si presenta in La stangata (1973) con due straordinari
décolleté: canottiera sotto salopette jeans per il primo, glabro; camicia
sbottonata e bretelle per il secondo, invece villoso. Intramontabili. E,
parlando di Redford, è impossibile tacere della sua camicia celeste, eterna, dai
Tre giorni del condor (1975) a La regola del silenzio (2012), portata
con il primo bottone aperto.
Altro protagonista del décolleté nel cinema è stato Marlon
Brando, in molteplici versioni: la T-shirt con scollo tondeggiante del suo
personaggio di Stanley Kowalski in Un
tram che si chiama desiderio (1951), la cravatta stretta al collo sul petto
nudo di Viva Zapata (1952) in cui
interpreta il grande rivoluzionario messicano, la toga che copre solo una parte
del tronco lasciando il petto scoperto nel film Giulio Cesare (1953) in cui è Marco Antonio. Il nudo integrale di Brando-Paul
in Ultimo tango a Parigi (1972)
risulta a confronto del tutto irrilevante: meglio la sua maglietta bianca
intima a maniche corte che indossa nello stesso “scandaloso” film.
Questi modelli classici danno continua ispirazione alle mode
contemporanee, che moltiplicano sia sulle passerelle che per le strade le forme
possibili del décolleté maschile: maglie con scollature a V, ovali, arrotondate,
quasi strappate sul petto, che alludono a Valentino o a Newman; T-shirt che
sembrano magliette intime proprio come quelle di Kowalski e di Paul; modi di
slacciare la camicia che seguono le orme di Redford. La tornitura dei muscoli
dà a volte, in certe fotografie di moda, o su certi modelli quotidiani che si
incontrano per strada, l’idea di un décolleté maschile molto somigliante al
solco di un seno femminile. Si evoca così quella bisessualità probabilmente
intrinseca in ciascuno di noi, quel confine spesso indistinto tra i generi su
cui la moda gioca alimentando la libertà e la molteplicità dell’immaginario.