(pubblicato su "il manifesto" del 2/10/2011)
Di cosa parliamo quando parliamo di lusso: alla Triennale «C25 Options of Luxury» espone 250 segni del superfluo, ma i precari ricordano che oggi a essere un lusso sono i diritti
Di cosa parliamo quando parliamo di lusso: alla Triennale «C25 Options of Luxury» espone 250 segni del superfluo, ma i precari ricordano che oggi a essere un lusso sono i diritti
Tra i cliché che la memoria collettiva conserva delle crisi economiche epocali che hanno attraversato la storia del capitalismo, c'è l'immagine, un po' vintage un po' caricaturale alla Georg Grosz, del grasso riccone in frac e tuba che affoga nell'alcool la rovina degli anni '20 accendendosi il sigaro con le ultime banconote rimastegli in tasca. Lusso e bancarotta si accoppiano simbolicamente in questo stereotipo. Come anche ben si coniugano i simboli del lusso e quelli del naufragio - reale o metaforico - nell'immagine icastica della celebre ballata di Hans Magnus Enzensberger La fine del Titanic: «Dinner First Class/ 14 Aprile 1912/ Caviale Beluga/ Hors d'œuvres variés/ Turtle Soup. La porta che qui vedete conduce al bagno turco,/ attenzione scalino, dove massaggi terapeutici e cure termali/ sono costantemente a vostra disposizione sotto controllo medico,/ osservate vi prego le colonne in marmo rosso di Carrara»
Oscurità e splendoreViaggio per mare, benessere da spa esclusiva, alta cucina, proprio come in un dépliant turistico a cinque stelle, ma con l'imminenza in agguato dell'urto con l'iceberg. Quasi si volesse mitigare la potenza semantica del lusso, o, viceversa, quasi non si avesse la forza di nominare il disastro, o il default - come ci suggerisce il lessico pestilenziale della finanza di oggi - lo spreco, l'eccesso, la profusione di ricchezza e denaro, vanno spesso in coppia con il loro contrario estremo: la miseria, il pericolo, la morte reale o metaforica.
A ulteriore conferma di questo dualismo di fondo che il lusso contiene, ricordiamo che a parlare meglio del lusso sono paradossalmente da sempre stati i suoi detrattori, o coloro che lo hanno condannato. Come i legislatori «suntuari» di ogni epoca che nelle leggi definite appunto «suntuarie», dalla Roma repubblicana fino alla tassazione in vigore oggi su yacht e beni superflui, hanno inteso sanzionare il lusso, beninteso solo perché potesse essere meglio regolato l'accesso al rapporto tra ricchezza e potere che il lusso e i suoi segni esibiscono.
Lusso necessario, come voleva già oltre un secolo fa Werner Sombart che lo riteneva fondamentale sin dall'accumulazione originaria capitalistica? O lusso deprecabile, come vorrebbe invece l'etica calvinista secondo Max Weber? Oppure lusso strettamente intrecciato a una «parte maledetta» dell'economia fatta di spreco, guerra, sacrificio, eros, come teorizzò Georges Bataille a metà del Novecento? Nella storia del concetto di lusso c'è tutto e il contrario di tutto: l'oscurità e lo splendore, il desiderio e la dissipazione, l'eternità e la maledizione.
Il dissidio che il lusso porta con sé si legge oggi anche nelle cifre: a una contrazione dei consumi in tempo di crisi si accompagna una tenuta e anzi un incremento nella crescita dei poli del lusso in tutto il mondo. Meno autobus e più Ferrari, come esemplarmente sembra indicare la vicenda dell'Irisbus che chiude mentre la fabbrica di Maranello tiene alti i suoi ritmi di produttività e punta a produrre oltre 7000 auto l'anno? E il massimo del lusso Ferrari sta anche nel tempo di attesa - anche 18 mesi - per un'automobile, da quando la si prenota a quando è pronta, personalizzata e fiammante.
Una nuova sprezzaturaNon v'è dubbio che in questo momento, con questo tipo di crisi in particolare, si allarghi ulteriormente il divario tra povertà e ricchezza, perché mentre la prima continua ad avere a che fare con un «nocciolo duro» fatto di lavoro che manca, salari, affitti, spesa al mercato, vita quotidiana, la seconda gioca in borsa, per dirla con una metafora, sempre più legata a quella dimensione sans phrase, senza parole, alla lettera, della finanziarizzazione globale. C'è di più, però, perché il lusso non si riduce semplicemente alla ricchezza, ma contiene una qualità ulteriore, fatta delle sue rappresentazioni, delle sue passioni, delle sue qualità e delle sue dannazioni.
Alcune di queste le ha scelte con cura e sapienti testimonianze la mostra C25 Options of Luxury, organizzata presso la Triennale di Milano da Class (edizioni e omonima rivista) per celebrare il proprio primo quarto di secolo e curata dall'architetto e artista Italo Rota. La mostra (oggi è l'ultimo giorno) seleziona 250 oggetti e concetti che esprimono la qualità e le caratteristiche complesse del lusso contemporaneo. La moda offre il suo humus quasi naturale, quale tradizionale ambito cui una società destina le sue spese superflue, eppure tanto congeniali e essenziali alla riproduzione allargata di se stessa. La cosmetica, l'automobilismo, la nautica da diporto, il turismo, il design, l'arte, la tecnologia, la ristorazione, fanno però da punti fermi essenziali del connubio tra l'idea di lusso e concetti come quelli di tempo, spazio, velocità, benessere, ozio, viaggio. Questi definiscono infatti, soprattutto oggi, la dimensione qualitativa del lusso stesso, e non semplicemente quella ostensiva, che anzi spesso tende a scomparire, a nascondersi in un understatement e in una sottrazione di segni che ricorda la sprezzatura cinquecentesca del Cortegiano di Baldassar Castiglione.
I titoli delle diverse sezioni della mostra rimandano alle declinazioni tra loro intersecate del lusso presente: il viaggio e il tempo, la vacanza e l'ambiente, le passioni e il corpo. Scopriamo così (ma forse già lo avevamo intuito) che accanto all'alta gioielleria o alla catena di hotel e resort a cinque stelle, è lusso il pistacchio di Bronte, è lusso il sale marino di Trapani, è lusso la tecnologia delle comunicazioni. Può essere lusso finanche l'Ape Calessino della Piaggio che negli anni '50 portava a spasso a Capri le dive di Hollywood e oggi trova nuova vita ecologica in versione elegante e rétro, come quella di un tempo, ma elettrica. Dopo Milano, la mostra verrà portata a New York, Shanghai e Seoul, e significativamente le due capitali asiatiche sembrano essere oggi le naturali attrattrici di un tema simile insieme alla grande mela, da un lato, e alla Milano della moda e dell'Italian style, dall'altro.
Ci si riempie spesso la bocca dicendo che l'Italia è stata sempre un simbolo dell'idea di lusso inteso come bellezza del paesaggio, arte e ricchezza culturale, eleganza innata del territorio, delle persone e delle città. Tutto questo oggi fa a pugni da un lato con la rappresentazione kitsch e deteriore del lusso e di alcuni suoi rappresentanti nel nostro paese, che riconducono il lusso alla dimensione etimologica della «luxuria» latina, cioè alla sovrabbondanza, all'eccesso, alla pletora simbolica e nauseabonda di simboli di ricchezza, sesso e potere. Dall'altro lato, l'idea di una qualità del lusso cozza contro quelle rappresentazioni pacchiane, quella democratizzazione apparente del lusso cui molti si illudono di poter accedere, anche solo per un giorno, magari indebitandosi per tutta la vita.
La sfida dello sprecoIl lusso non è semplice sinonimo di ricchezza, ma consiste, più che nell'ostentazione, nell'incorporazione nei beni di valori come la qualità, la rarità, la durata, la fattura artigianale, la personalizzazione. In questo senso il lusso va oltre il semplice consumo, sia pure ostensivo, come lo chiamava Thorstein Veblen, ma ha a che vedere con il «lussare» nel senso della lussazione, un termine che rende visibile l'atto del «mettersi di traverso», dell'interrompere, dello «scivolare altrove», e che mostra il lusso come un piacere che esorbita dal quotidiano e che eccita i sensi rispetto alla media del vivere e del sentire. Impossibile, in questo senso, immaginare una «democratizzazione del lusso».
Il lusso contemporaneo presenta motivi molto vicini a quella distinzione che oltre un secolo fa Georg Simmel indicava come qualcosa che fa appello al rapporto tra l'individuo e il rischio dell'eccezionale, la sfida dello spreco e tutto ciò che fuoriesce dalla legge dell'utile e del funzionale. Vi sono strategie semiotiche, estetiche e culturali che producono l'idea stessa della lussuosità. Queste strategie creano una nuova aura di unicità intorno all'oggetto o al bene di lusso, il cui possesso o la cui fruizione diventa eccezionale e spezza, lussa, appunto, la serialità della produzione di massa delle merci e dei segni.
Confini mobiliUna pubblicità recente di automobili, che fonda il suo Leitmotiv sul fatto che «il lusso è un diritto», gioca però provocatoriamente sul dissidio intrinseco contenuto nel messaggio verbale. Per enunciarlo, l'attore Vincent Cassel si sdoppia e risponde alla domanda «Cos'è il lusso?» con diverse battute in due toni diversi: aggressivo e pacato. Con aggressività enuncia le qualità apparenti: feste, gioielli, vivere negli eccessi, puntare al massimo, avidità, non essere mai soddisfatti. Con pacatezza dichiara invece la morte dell'ostentazione e il fatto che il vero lusso stia nelle cose più semplici, tra le quali ovviamente l'utilitaria glamour in questione.
Convincente o meno, questa pubblicità viene in questi giorni parodiata nell'interferenza culturale della Rete della Conoscenza che lancia la campagna «I diritti sono un lusso» sul tema della disoccupazione giovanile, dei tagli alla scuola, all'università pubblica e al diritto allo studio. Il messaggio rende esplicita una caratteristica fondamentale del lusso, cioè che il suo confine si sposta sempre, che ciò che sembra un lusso oggi, ieri era un dato acquisito, che in certi luoghi del mondo sia l'acqua a essere un lusso, e che del lusso in senso profondo, qualitativo, l'essere umano non possa fare a meno.
Oscurità e splendoreViaggio per mare, benessere da spa esclusiva, alta cucina, proprio come in un dépliant turistico a cinque stelle, ma con l'imminenza in agguato dell'urto con l'iceberg. Quasi si volesse mitigare la potenza semantica del lusso, o, viceversa, quasi non si avesse la forza di nominare il disastro, o il default - come ci suggerisce il lessico pestilenziale della finanza di oggi - lo spreco, l'eccesso, la profusione di ricchezza e denaro, vanno spesso in coppia con il loro contrario estremo: la miseria, il pericolo, la morte reale o metaforica.
A ulteriore conferma di questo dualismo di fondo che il lusso contiene, ricordiamo che a parlare meglio del lusso sono paradossalmente da sempre stati i suoi detrattori, o coloro che lo hanno condannato. Come i legislatori «suntuari» di ogni epoca che nelle leggi definite appunto «suntuarie», dalla Roma repubblicana fino alla tassazione in vigore oggi su yacht e beni superflui, hanno inteso sanzionare il lusso, beninteso solo perché potesse essere meglio regolato l'accesso al rapporto tra ricchezza e potere che il lusso e i suoi segni esibiscono.
Lusso necessario, come voleva già oltre un secolo fa Werner Sombart che lo riteneva fondamentale sin dall'accumulazione originaria capitalistica? O lusso deprecabile, come vorrebbe invece l'etica calvinista secondo Max Weber? Oppure lusso strettamente intrecciato a una «parte maledetta» dell'economia fatta di spreco, guerra, sacrificio, eros, come teorizzò Georges Bataille a metà del Novecento? Nella storia del concetto di lusso c'è tutto e il contrario di tutto: l'oscurità e lo splendore, il desiderio e la dissipazione, l'eternità e la maledizione.
Il dissidio che il lusso porta con sé si legge oggi anche nelle cifre: a una contrazione dei consumi in tempo di crisi si accompagna una tenuta e anzi un incremento nella crescita dei poli del lusso in tutto il mondo. Meno autobus e più Ferrari, come esemplarmente sembra indicare la vicenda dell'Irisbus che chiude mentre la fabbrica di Maranello tiene alti i suoi ritmi di produttività e punta a produrre oltre 7000 auto l'anno? E il massimo del lusso Ferrari sta anche nel tempo di attesa - anche 18 mesi - per un'automobile, da quando la si prenota a quando è pronta, personalizzata e fiammante.
Una nuova sprezzaturaNon v'è dubbio che in questo momento, con questo tipo di crisi in particolare, si allarghi ulteriormente il divario tra povertà e ricchezza, perché mentre la prima continua ad avere a che fare con un «nocciolo duro» fatto di lavoro che manca, salari, affitti, spesa al mercato, vita quotidiana, la seconda gioca in borsa, per dirla con una metafora, sempre più legata a quella dimensione sans phrase, senza parole, alla lettera, della finanziarizzazione globale. C'è di più, però, perché il lusso non si riduce semplicemente alla ricchezza, ma contiene una qualità ulteriore, fatta delle sue rappresentazioni, delle sue passioni, delle sue qualità e delle sue dannazioni.
Alcune di queste le ha scelte con cura e sapienti testimonianze la mostra C25 Options of Luxury, organizzata presso la Triennale di Milano da Class (edizioni e omonima rivista) per celebrare il proprio primo quarto di secolo e curata dall'architetto e artista Italo Rota. La mostra (oggi è l'ultimo giorno) seleziona 250 oggetti e concetti che esprimono la qualità e le caratteristiche complesse del lusso contemporaneo. La moda offre il suo humus quasi naturale, quale tradizionale ambito cui una società destina le sue spese superflue, eppure tanto congeniali e essenziali alla riproduzione allargata di se stessa. La cosmetica, l'automobilismo, la nautica da diporto, il turismo, il design, l'arte, la tecnologia, la ristorazione, fanno però da punti fermi essenziali del connubio tra l'idea di lusso e concetti come quelli di tempo, spazio, velocità, benessere, ozio, viaggio. Questi definiscono infatti, soprattutto oggi, la dimensione qualitativa del lusso stesso, e non semplicemente quella ostensiva, che anzi spesso tende a scomparire, a nascondersi in un understatement e in una sottrazione di segni che ricorda la sprezzatura cinquecentesca del Cortegiano di Baldassar Castiglione.
I titoli delle diverse sezioni della mostra rimandano alle declinazioni tra loro intersecate del lusso presente: il viaggio e il tempo, la vacanza e l'ambiente, le passioni e il corpo. Scopriamo così (ma forse già lo avevamo intuito) che accanto all'alta gioielleria o alla catena di hotel e resort a cinque stelle, è lusso il pistacchio di Bronte, è lusso il sale marino di Trapani, è lusso la tecnologia delle comunicazioni. Può essere lusso finanche l'Ape Calessino della Piaggio che negli anni '50 portava a spasso a Capri le dive di Hollywood e oggi trova nuova vita ecologica in versione elegante e rétro, come quella di un tempo, ma elettrica. Dopo Milano, la mostra verrà portata a New York, Shanghai e Seoul, e significativamente le due capitali asiatiche sembrano essere oggi le naturali attrattrici di un tema simile insieme alla grande mela, da un lato, e alla Milano della moda e dell'Italian style, dall'altro.
Ci si riempie spesso la bocca dicendo che l'Italia è stata sempre un simbolo dell'idea di lusso inteso come bellezza del paesaggio, arte e ricchezza culturale, eleganza innata del territorio, delle persone e delle città. Tutto questo oggi fa a pugni da un lato con la rappresentazione kitsch e deteriore del lusso e di alcuni suoi rappresentanti nel nostro paese, che riconducono il lusso alla dimensione etimologica della «luxuria» latina, cioè alla sovrabbondanza, all'eccesso, alla pletora simbolica e nauseabonda di simboli di ricchezza, sesso e potere. Dall'altro lato, l'idea di una qualità del lusso cozza contro quelle rappresentazioni pacchiane, quella democratizzazione apparente del lusso cui molti si illudono di poter accedere, anche solo per un giorno, magari indebitandosi per tutta la vita.
La sfida dello sprecoIl lusso non è semplice sinonimo di ricchezza, ma consiste, più che nell'ostentazione, nell'incorporazione nei beni di valori come la qualità, la rarità, la durata, la fattura artigianale, la personalizzazione. In questo senso il lusso va oltre il semplice consumo, sia pure ostensivo, come lo chiamava Thorstein Veblen, ma ha a che vedere con il «lussare» nel senso della lussazione, un termine che rende visibile l'atto del «mettersi di traverso», dell'interrompere, dello «scivolare altrove», e che mostra il lusso come un piacere che esorbita dal quotidiano e che eccita i sensi rispetto alla media del vivere e del sentire. Impossibile, in questo senso, immaginare una «democratizzazione del lusso».
Il lusso contemporaneo presenta motivi molto vicini a quella distinzione che oltre un secolo fa Georg Simmel indicava come qualcosa che fa appello al rapporto tra l'individuo e il rischio dell'eccezionale, la sfida dello spreco e tutto ciò che fuoriesce dalla legge dell'utile e del funzionale. Vi sono strategie semiotiche, estetiche e culturali che producono l'idea stessa della lussuosità. Queste strategie creano una nuova aura di unicità intorno all'oggetto o al bene di lusso, il cui possesso o la cui fruizione diventa eccezionale e spezza, lussa, appunto, la serialità della produzione di massa delle merci e dei segni.
Confini mobiliUna pubblicità recente di automobili, che fonda il suo Leitmotiv sul fatto che «il lusso è un diritto», gioca però provocatoriamente sul dissidio intrinseco contenuto nel messaggio verbale. Per enunciarlo, l'attore Vincent Cassel si sdoppia e risponde alla domanda «Cos'è il lusso?» con diverse battute in due toni diversi: aggressivo e pacato. Con aggressività enuncia le qualità apparenti: feste, gioielli, vivere negli eccessi, puntare al massimo, avidità, non essere mai soddisfatti. Con pacatezza dichiara invece la morte dell'ostentazione e il fatto che il vero lusso stia nelle cose più semplici, tra le quali ovviamente l'utilitaria glamour in questione.
Convincente o meno, questa pubblicità viene in questi giorni parodiata nell'interferenza culturale della Rete della Conoscenza che lancia la campagna «I diritti sono un lusso» sul tema della disoccupazione giovanile, dei tagli alla scuola, all'università pubblica e al diritto allo studio. Il messaggio rende esplicita una caratteristica fondamentale del lusso, cioè che il suo confine si sposta sempre, che ciò che sembra un lusso oggi, ieri era un dato acquisito, che in certi luoghi del mondo sia l'acqua a essere un lusso, e che del lusso in senso profondo, qualitativo, l'essere umano non possa fare a meno.