lunedì 21 luglio 2008

Corpi allo specchio


Questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto del 19/7/2008

A dirigere l'edizione 2008 degli Incontri internazionali di Arles è stato chiamato il couturier Christian Lacroix. Che scegliendo immagini di autori come il camerunense Samuel Fosso, l'indiano Achinto Bhadra o la francese Françoise Huguier, ha puntato, più che su modelli o tessuti, sui diversi modi in cui gli abiti sono documenti del tempo
NUOVE PROFONDITÀ DI CAMPO TRA MODA E FOTOGRAFIA
Patrizia Calefato

Senza la fotografia la moda non esisterebbe. Può sembrare un'affermazione azzardata, soprattutto tenendo conto delle più recenti e accreditate ricostruzioni della Fashion Theory che considerano la moda un sistema strettamente legato al carattere originario della «modernità», dunque di gran lunga precedente l'epoca della riproducibilità tecnica, innanzi tutto fotografica, dei segni visivi. C'è però un senso più intimo e individuale che la moda lambisce, forse non previsto dalle ricostruzioni epocali, ma certamente fondativo della moda stessa quale sistema attraverso cui il corpo e l'occhio vengono «toccati» dal rivestimento.
Vanitas vanitatum
Un senso che richiama direttamente la fotografia quale arte del tempo unico, dell' «è stato» come sosteneva Roland Barthes, e insieme arte della visione tradotta in immagine. Un senso che permette alla moda di essere soprattutto «un modo d'essere, di mostrarsi, di apparire», scrive Christian Lacroix, il couturier che quest'anno è stato chiamato a dirigere i Rencontres Internationales de photographie di Arles. In questa occasione, è proprio attraverso la figura di stilista-artista di Lacroix che moda e fotografia, sistemi del vedere e del sentire, mostrano i loro vincoli più insoliti.
Chiamati a esporre sono infatti non «fotografi di moda» in senso stretto, ma fotografi a tutto campo, secondo la grande lezione lasciata da Richard Avedon, che fu artista della modernità in senso pieno e che è presente alla manifestazione di Arles attraverso la sua «favola» In memory of the late Mr and Mrs Comfort, pubblicata dal «New Yorker» nel 1995. Nella favola fotografica di Avedon, la modella Nadja Auermann, Mrs. Comfort, compare in coppia con uno scheletro, un Mr. Comfort vestito come lei con gli abiti dei più grandi stilisti della haute couture, tra i quali lo stesso Lacroix. In questa serie Avedon celebra insieme l'apoteosi dell'alta moda e lo scarnificato senso di morte che la moda porta con sé. Metafore dello specchio barocco in cui il teschio richiama la vanitas vanitatum; riedizione del sex appeal dell'inorganico di benjaminiana memoria; fine presunta della relazione tra Avedon stesso e il mondo della moda: qualunque significato prevalga nella loro interpretazione, queste splendide immagini possono esemplarmente testimoniare il ruolo di sfondo filosofico che la fotografia riveste nei confronti della moda.
Uno sguardo al backstage
È alla fotografia come procedura intima della memoria che Lacroix fa riferimento nel suo progetto di curatore arrivando a scrivere, in una sorta di breve autobiografia, che per lungo tempo l'immagine fotografica è stato il suo unico legame col mondo, e che lui e la fotografia sono stati insieme bambini in bianco e nero, poi adolescenti pop, infine adulti a colori. La fotografia incontra così la moda nel punto in cui entrambe vanno oltre la posa, il tessuto e il make-up, dove la moda smette di essere «fashionista» e parla di identità, di presenza, di assenza, in definitiva ancora di tempo. L'idea di empatia tra fotografia e moda che emerge dai Rencontres firmati Lacroix si rivolge allora «ai backstage piuttosto che alla ribalta, all'anonimato piuttosto che allo sfarzo, alla nudità autentica piuttosto che ai fronzoli, all'umile e anodino piuttosto che alla gloria convenzionale e ai riconoscimenti affettati, all'impressione piuttosto che all'ovvietà».
Ne sono testimonianza gli scatti del francese Grégoire Korganow, tratti dalle serie A côté, dedicata alle famiglie dei detenuti, e Backstage, realizzata per «Marie Claire» e dedicata ai luoghi che si trovano al di là delle passerelle d'alta moda. Nella prima serie, un'immagine in particolare colpisce: Le linge de Claire, ritratto di una donna che si avvolge fino al naso in una T-shirt che appartiene al suo uomo in carcere. L'immagine parla direttamente a chi la guarda di sensi che, oltre il vedere, comprendono l'odorare e il toccare; aggiunge inoltre al novero dei sensi umani anche il ricordo, in grado di potenziare i sensi e di venirne a sua volta nutrito. In quella T-shirt resta della moda l'accenno alla doppia vita di questa: una di superficie e una intima; una vita sociale e una vita unica, sconosciuta, d'angolo, che la fotografia sola riesce a captare.
Il corpo rivestito può mostrare attraverso l'immagine fotografica identità prese a prestito, come quelle del fotografo camerunense, ora residente nella Repubblica Centrafricana, Samuel Fosso. Uomo di poche parole, quale egli stesso si autopresenta, può dirsi personaggio e regista di se stesso e interpretare parti che lo trasformano nell'Uomo d'affari in completo grigio, cravatta a quadri e telefonino all'orecchio, oppure in uno dei personaggi del Sogno di mio nonno. In quest'ultima serie, Fosso compare con la pelle dipinta di rosso, il cranio rasato e solo un cache-sexe indosso come in una cerimonia di iniziazione in cui la fotografia autorizza anche l'ironia sull'immagine stereotipata dell'Africa «tradizionale».
Grembiuli e uniformi


Il fotografo di Calcutta Achinto Bhadra presenta alcune immagini tratte da un lavoro patrocinato dalla Fondazione Terre des Hommes, che egli da alcuni anni conduce con giovani donne indiane sopravvissute al traffico dei corpi, agli stupri e all'abbandono. Posando con abiti e oggetti indosso, queste donne rivivono il loro passato di violenze e abusi, mascherando la loro identità dietro stereotipi vestimentari o massmediatici. Nella foto Protetta dal burqa una donna musulmana si nasconde perché ha paura di quanto potrebbe succederle se si venisse a sapere ciò che ha subito. Vittima due volte, della violenza passata e della paura per il futuro, la fotografia e l'abito riescono però a mettere all'opera in lei una forma di riscatto, di sopravvivenza, di forza. In Un albero rifugio, invece, un'adolescente rivive il suo passato bisogno di luoghi dove rifugiarsi e si nasconde dietro una grande foglia, luogo naturale dove trovare riparo. La fotografa francese Françoise Huguier propone immagini tratte dalla serie Kommunalka, che testimonia di una vita in comune da lei trascorsa dal 2002 al 2007 a San Pietroburgo. «Chi mi ha parlato di fantasmi? Chi mi ha detto che di notte a San Pietroburgo puoi vedere l'invisibile?», si chiede l'autrice. La vita in questa casa, e specialmente quella di una delle abitanti, Natacha, restituiscono, attraverso gli scatti realizzati in cinque anni da Huguier, la narrazione della città intera. Un'operazione con cui nessuna rivista di moda o di interior design potrebbe competere. Al prototipo vestimentario dell'uniforme attingono invece la fotografa inglese Vanessa Winship e il francese Charles Fréger. La prima sceglie l'uniforme delle scolare che vivono ai confini dell'Anatolia orientale: quello che da noi è il «grembiule» è lì il simbolo «laico» dello Stato, una divisa blu sempre uguale in tutta la Turchia, anche sulle frontiere che lambiscono Iraq, Siria e Armenia, i luoghi dove l'artista esegue i suoi ritratti. Winship dice di essere attratta da sempre dai temi della frontiera non solo geografica, ma più radicalmente «umana», e le sue coppie di amiche col «grembiule» alludono a una frontiera temporale, che da lei chiamato «il momento appena prima», quello dove risiede la possibilità e dove la presentazione del sé oscilla verso la coscienza.


Le uniformi di Fréger sono invece decisamente militaresche e imperiali. Proprio Impero si chiama la sua serie che comprende, tra le altre, le guardie a cavallo inglesi e le scorte reali belghe, le cui divise attingono direttamente all'etichetta e alla simbologia degli imperi e dei cerimoniali del XVIII e XIX secolo.

Fu quello il momento in cui nacque la moda maschile borghese direttamente forgiata sul modello dell'uniforme militare e sui segni esteriori degli eserciti europei che colonizzavano il mondo. Mentre questo accadeva, dalle stanze segrete delle «disobbedienti» - le cocottes, le demimondaines della seconda metà dell'Ottocento - si diramavano ritratti di donne poco raccomandabili racchiusi in una calling card che serviva come mezzo segnaletico per la polizia e come biglietto da visita per potenziali clienti. Sono Les Insoumises, di cui la mostra riscopre gli scatti rubati come documenti preziosi sia della storia della moda che di quella della fotografia. Fu proprio dalla foto segnaletica e dalle caratteristiche antropometriche degli schedati che si originò la funzione di riconoscimento dell'identità che la fotografia permette ancora oggi. C'è dunque una storia del ritratto fotografico, che è insieme storia corpo e storia della cittadinanza, i cui prototipi si situano nei margini sociali, nei luoghi riprovevoli della devianza e della insubordinazione alle leggi. Tanto più interessanti queste storie, se i soggetti di queste rappresentazioni posano in abiti alla moda o in pose narcisistiche simili a quelle in cui si faceva ritrarre nello stesso periodo dai fotografi Pierson e Mayer mondana di corte Contessa di Castiglione. Nella sezione Documents, infine, sono previste mostre dedicate al fotografare abiti, concentrate su aspetti insoliti, come le nature morte di Vogue, il rapporto tra fotografia moda e video, nonché la presenza della fotografia all'interno dello spazio web 2.0 con blog di moda e altre forme di passaggio dell'immagine fashion dalla strada al web. Masoprattutto, quello che sembra emergereda uno sguardo complessivo è la maturazione del rapporto tra moda e fotografia, nel senso di una profondità di campo completamente nuova ormai assunto dall'una come dall'altra, ciascuna nella propria rispettiva funzione culturale e simbolica.

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